Game zone. Recensione
Giocare con lo spazio per crearne di nuovi
Il secondo playground si estende al corpo e alle relazioni che stabilisce con lo spazio.
Una superficie può essere al tempo stesso seduta, pavimento, parete, uno spazio continuo che è in grado di disorientare. L’individuo compie una scelta su come utilizzare lo spazio.
Il quarto playground comprende tutte quelle architetture che hanno tentato di fondere tra di loro la solidità del costruito con la fluidità del reale, integrando la tecnologia. Presuppone l'esistenza di un'intera società disposta a giocarvi. Le parole chiave di questo playground sono la flessibilità, la fluidità e l'interattività. L'architettura si plasma sui desideri dei propri abitanti attraverso l'emissione e la ricezione di stimolazioni sensoriali.
Il sesto playground é quello dei videogame.
Si tratta di uno dei playground collettivi più vasti e potenti che l'umanità abbia mai creato.
È uno spazio imprevedibile dove i giocatori possono arrivare al superamento del mondo creato, ne cambiano le regole e ne creano di nuove. Si sfumano completamente i limiti dello spazio di gioco.
La parola gioco come poche altre parole ha la capacità di
denotare un insieme di attività incredibilmente vasto, proprio per questo è una
metafora perfetta per poter tracciare un’evoluzione dello spazio
architettornico.
Per poter comprendere il gioco e parteciparvi è necessario cambiare punto di vista, liberarsi dai preconcetti e dai comportamenti stereotipati attraverso l’immaginazione.
Gli spazi diventano campi da gioco e si classificno a seconda della loro tipologia in 6 playground ognuno dei quali ha bisogno di regole proprio come un gioco.
Ogni playground è un architettura nella misura in cui lo è ogni modificazione di uno spazio vissuto.
Per poter comprendere il gioco e parteciparvi è necessario cambiare punto di vista, liberarsi dai preconcetti e dai comportamenti stereotipati attraverso l’immaginazione.
Gli spazi diventano campi da gioco e si classificno a seconda della loro tipologia in 6 playground ognuno dei quali ha bisogno di regole proprio come un gioco.
Ogni playground è un architettura nella misura in cui lo è ogni modificazione di uno spazio vissuto.
Il primo Playground
è quello dello sguardo uno spazio a metà tra illusione e realtà.
Gli oggetti vengono decontestualizzati e ricontestualizzati, perdono di coincidenza tra forma e funzione.
Gli oggetti vengono decontestualizzati e ricontestualizzati, perdono di coincidenza tra forma e funzione.
Il secondo playground si estende al corpo e alle relazioni che stabilisce con lo spazio.
Una superficie può essere al tempo stesso seduta, pavimento, parete, uno spazio continuo che è in grado di disorientare. L’individuo compie una scelta su come utilizzare lo spazio.
Il terzo playground
introduce un elemento di mediazione tra il corpo e lo spazio. L’architettura è
il dispositivo straniante che stimola nuovi comportamenti in cui gerarchie e
ruoli sono annullati. Indispensabile per il funzionamento di questi spazi é la
partecipazione degli attori in campo.
Il quarto playground comprende tutte quelle architetture che hanno tentato di fondere tra di loro la solidità del costruito con la fluidità del reale, integrando la tecnologia. Presuppone l'esistenza di un'intera società disposta a giocarvi. Le parole chiave di questo playground sono la flessibilità, la fluidità e l'interattività. L'architettura si plasma sui desideri dei propri abitanti attraverso l'emissione e la ricezione di stimolazioni sensoriali.
Con il quinto
playground i vincoli fisici dello spazio architettonico si dissolvono
nell'esperienza multisensoriale prodotta dalla tecnologia. In questo playground
lo spazio concreto e reale e quello dell'informatica si sovrappongono.
Il sesto playground é quello dei videogame.
Si tratta di uno dei playground collettivi più vasti e potenti che l'umanità abbia mai creato.
È uno spazio imprevedibile dove i giocatori possono arrivare al superamento del mondo creato, ne cambiano le regole e ne creano di nuove. Si sfumano completamente i limiti dello spazio di gioco.
Si viene a creare un playscape
in cui si sovrappongono il percepito, il concepito e il vissuto.
La creazione di nuovi spazi porta con sé nuovi tipi di desideri, nuovi tipi di relazioni sociali che portano ancora a nuovi spazi, in un ciclo continuo di creazione e superamento dello spazio appena definito.
Fine ultimo dell’architettura sembra essere l'eliminazione dell’architettura stessa.
La creazione di nuovi spazi porta con sé nuovi tipi di desideri, nuovi tipi di relazioni sociali che portano ancora a nuovi spazi, in un ciclo continuo di creazione e superamento dello spazio appena definito.
Fine ultimo dell’architettura sembra essere l'eliminazione dell’architettura stessa.
L’ultima parte del libro manca ancora di una piena
consapevolezza proprio per il fatto che non è pienamente concluso il processo
di formazione dello spazio, ma bensì ancora in atto. Guarda al presente e al futuro,
perciò risulta vago e incerto. Rende però evidente le infinite possibilità che si
possono scegliere.
Mette in evidenza le infinite possibilità dello spazio che con l'atto creativo o con il semplice cambio di prospettiva può modificarsi e mutare completamente.
Mette in evidenza le infinite possibilità dello spazio che con l'atto creativo o con il semplice cambio di prospettiva può modificarsi e mutare completamente.
Fa un analisi difficile che guarda alle variabili che si
possono determinare nella definizione dello spazio. Mette però in evidenza come
una strada che all’apparenza sembrava non portare da nessuna parte, si rivela in
un secondo tempo un elemento chiave per poter percorrere un'altra direzione.
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